Non potrei tenere un blog di aiuto ai genitori senza trattare una delle tematiche più dibattute in secoli di storia della pedagogia: il castigo.
Sì, perché se è cosa buona e giusta inorgoglirsi con i colleghi del lunedì mattina per il primo premio del rampollo alla gara di nuoto, “Come si fa quando le cose non vanno come vorrei” è un nucleo ancora più importante. In ogni processo educativo, la modalità con cui rispondiamo alle situazioni difficili, crea lo scarto tra azione e reazione, consapevolezza o impeto. Un’azione formativa si muove in modo intenzionale, una reazione risponde ad un istinto incontrollabile. Niente da giudicare mamma, sfido persino Maria Montessori a non aver mai perso la pazienza in anni di gloriosa carriera pedagogica tra nanetti urlanti e crisi di pianto.
Tuttavia, forse possiamo riflettere sul vero significato del castigo e sulle diverse posizioni che tendiamo ad assumere quando non ce la facciamo più.
Sommario
Perché il castigo è inutile
Chiediti perché vuoi imporre un castigo: se realizzi che è per scoraggiare un comportamento e promuoverne un altro che ritieni più idoneo, considera che il cervello del tuo bambino (e non solo il suo!) funziona per associazioni. Quanto più lo aiuti a costruire connessioni lineari, semplici, logicamente conseguenti tra loro, tanto più per il cucciolo sarà naturale attuare un certo tipo di comportamento desiderabile. Lo vivrà come spontaneo. Ora ti chiederai che connessione logica e conseguenziale vi sia tra la risposta sgarbata che ti ha dato tuo figlio e la TV che gli neghi subito dopo: è proprio come sembra, non c’è nessuna valida associazione. Quindi tuo figlio non impara assolutamente nulla, anche se al momento la paura che gli susciti ti induce a credere il contrario.
Qual è il vero castigo
Quando dai un castigo a tuo figlio, infliggi un’umiliazione che ha poco a che fare con il suo comportamento e molto con il suo modo d’essere.
Il castigo colpisce in modo profondo. Una volta ho sgridato un bambino molto forte e in preda alla rabbia è uscito dalla classe.
Quando la commessa gli ha offerto una caramella, la sua risposta è stata: “non sono degno”. Una frase molto forte, che mi ha lasciato intuire come questo bambino associasse l’accaduto ad una sua carenza nell’essere, non alla manifestazione di un comportamento spiacevole che io ho individuato. È facile che egli mettesse in atto spesso certe condotte e le avesse ormai legate ad una sua caratteristica personale: il punto è che un comportamento si può modificare, un’attitudine della personalità, invece, viene percepita come statica e pesante. Fissa.
L’alternativa al castigo
Anziché castigare tuo figlio, mostragli le logiche conseguenze, gli svantaggi cui va incontro mettendo o non mettendo in atto un certo comportamento.
Se non hai fatto i compiti questo pomeriggio, li dovrai fare stasera al posto della Wii.
Se c’è disordine nella stanza, non potrai cenare con noi perché ci metteresti troppo a farlo prima di andare a letto.
Il vantaggio di questa strategia è duplice: non colpisci l’intima natura di tuo figlio, di cui quindi salvaguardi l’autostima; mostri perché serve adottare un certo comportamento, ne palesi l’utilità: non sono io che rivendico un ruolo di superiorità e mi impongo su di te, ma è la norma ad essere funzionale a farci vivere meglio.