Conosciamo le paure fin da piccolissimi: sono un’esperienza che ci allontana da noi stessi, ci rallenta o addirittura paralizza nella nostra possibilità di azione.
Le paure ci rendono rigidi, passivi, non lucidi. Quando diventiamo genitori, ci troviamo a guidare i nostri piccoli verso la conoscenza di loro stessi.
Cosa succede quando dobbiamo insegnare loro a gestire l’emozione della paura?
Sommario
Cos’è la paura
La paura è l’emozione che proviamo quando temiamo accada qualcosa di indesiderato e fuori dal nostro controllo.
I bambini in fase di crescita, attorno ai 2 e 3 anni, aumentano le loro paure. Perché?
- Perché crescono (acquisiscono il principio di causa-effetto, ma mancano dell’esperienza necessaria a distinguere il possibile dall’impossibile).
- Hanno un’immaginazione molto vivace
- Fanno delle associazioni molto veloci (“…se quel cane che ho visto in tv morde, potrebbero mordere tutti i cani!”)
Ma quali sono le paure più diffuse che vivono i piccoli?
Le paure più diffuse nei bambini
Tra le paure più diffuse nei bambini, troviamo quelle legate alla mobilità (l’altalena, l’ascensore…) ma anche il cane, il dottore, i clown.
Altri timori sono legati ai rumori forti e improvvisi, al buio e ciò che ai loro occhi appare immenso e dominante, come il mare.
I tre principi per aiutare tuo figlio a gestire le paure
Per quanto la gestione delle paure attenga ad un ambito soggettivo e personale, dal punto di vista educativo vi sono tre principi che possono esserti molto utili quando supporti tuo figlio nella gestione di questa emozione.
- Principio: usare lo stesso linguaggio della paura
Usa lo stesso linguaggio della paura, quello emotivo e non razionale. Nel tentativo di confortare il bimbo, a volte forniamo spiegazioni razionali, usiamo constatazioni e logiche che non ci fanno raggiungere l’obbiettivo di calmare il bambino che é rapito dalla sua emozione (esattamente come accade a noi, quando siamo in preda al panico).
Piuttosto, ascolta ed empatizza. Questo rende tuo figlio più disponibile a lasciarsi consolare e lo fa sentire capito. - Principio: il rispetto dei tempi umani del bambino
Il timore del bimbo non è realistico, ma la sua paura è vera. Ciò vuol dire che per quanto il timore sia assurdo, è importante rispettare i tempi umani del bambino e quindi NON forzare il superamento. Se tuo figlio ha paura dell’acqua è inutile forzarlo a fare il bagno in mare, ma puoi aiutarlo a familiarizzare, facendolo esporre in modo graduale all’oggetto della sua paura. Ad esempio, puoi introdurre un avvicinamento progressivo alla riva per raccogliere le conchiglie, oppure puoi dirgli:
“Amore, che ne dici se guardiamo i pesci con l’acqua alle caviglie?“. Altre frasi come “sii coraggioso”, “lo fanno anche gli altri”, etc. sono sconsigliabili, non fanno leva sulle risorse interne del tuo bambino e ti allontanano dal tuo scopo. - Principio: non anticipare le paure
Frasi come “non aver paura” mettono il bimbo in una posizione guardinga e di sorveglianza. Se desideri che tuo figlio familiarizzi con il cane, preferisci dire “guarda che bel cane, proviamo a fargli una carezza?” Il tuo obiettivo non è quello di eliminare la paura del bambino, ma creare le condizioni affinché vi si esponga in modo sempre maggiore, di modo che essa si ridimensioni naturalmente. Ad esempio, se ha paura del cane, permettigli di osservarti mentre lo accarezzi, restando ad una distanza da cui si senta sicuro; se ha paura del dottore, giocate insieme! Il tuo bimbo sarà il medico, tu il paziente spaventato. Vedrai come sarà divertito dal confortarti ed esorcizzare la paura attraverso uno scambio di ruoli!
Anche osservare che mamma e papà parlano e affrontano le loro paure, rinforza il legame genitore/bambino e dà sicurezza al cucciolo.
E se la paura non passa?
Molti genitori temono che le paure possano stabilizzarsi nella vita del bambino.
In verità: Con il raggiungimento dei 4, 5 anni, tuo figlio aumenta la sua consapevolezza e molte delle sue paure scompaiono, diventa più sicuro. Alcune paure permarranno ancora, invece. Anche in quel caso il suggerimento è di non forzare la mano, ma offrire possibilità positive e concrete per avvicinarsi e poi superare i propri limiti.