In verità, nessuno è davvero consapevole di cosa questo gioco sia e di come si possa reagire alla Blue Whale. Di certo poche scoperte destano tante emozioni negative tutte insieme.
Ho letto in proposito circa tre settimane fa, in un articolo come tanti altri che si leggono sulle pagine dei social. Ho scelto di non parlarne con nessuno tra i ragazzi, neppure quelli in cui osservo maggiore riflessività ed energia interiori: a volte la genuina curiosità non è di supporto e bisogna avere cura delle menti e degli spiriti che animano gli adulti di domani.
Perciò, silenzio stampa fin quando non apprendo che l’Italia tutta ne è al corrente a seguito di un servizio andato in onda su una rete televisiva e il web impazza di notizie sul gioco.
A questo punto, mi è toccato cambiare registro e affrontare l’argomento.
Cos’ho fatto io? Ho guardato il servizio televisivo e ho letto il più possibile a riguardo.
Avvertito il disgusto e il raccapriccio, speravo che nessuno dei ragazzi mi chiedesse nulla prima che io avessi chiarito a me stessa come reagire alla Blue Whale.
Vera o meno la notizia, ciò che conta è l’impatto psicologico su di noi e su chi proteggiamo come figli, come alunni, come ragazzi di cui ci prendiamo cura.
Se c’è qualcosa da evitare, è diffondere info e riflessioni in preda al panico.
Cosa scopro: Alcuni ipotizzano si tratti di una bufala, una notizia ideata ad hoc dai media. Questa tesi parrebbe sostenuta dal fatto che la news non trova ne’ conferme, né smentite; ha prodotto molto all’allarmismo, ma ha poche testimonianze . Sta quindi prendendo piede l’ipotesi che si tratti di una commistione di dati reali (un fantomatico gioco che spinge ad uccidersi, l’alto tasso di suicidi in Russia tra i ragazzi, etc) che combinati assieme hanno creato un fenomeno mediatico costruito a tavolino dai giornalisti.
Su cosa rifletto: Ammettiamo sia fantascienza e questo gioco non esista.
Il problema resta: non è inverosimile credere che l’audience abbia calamitato l’interesse dei piccoli internauti che hanno accesso a gruppi, giochi, passatempi virtuali non per forza sani e di sostegno alla Vita e alla felicità. La diffusione dilagante della notizia, quindi, ci deve fare reagire alla Blue Whale in ogni caso.
E mi ci metto dentro, perché in quanto educatrice alle scuole superiori, la questione è arrivata anche alle mie orecchie.
So di professori che non conoscevano Blue Whale e sono stati informati dai ragazzi; altri, che hanno deciso di non trattare l’argomento in classe per non amplificarne la risonanza.
Poi ci sono io che nel backstage ho ascoltato gli scambi dei punti di vista delle mie teens, che tra paura, curiosità e sgomento si facevano e mi ponevano domande.
E allora abbiamo cominciato a parlare della vita e del dolore. Della fragilità, quella di una mente in formazione che può essere sedotta. Abbiamo parlato della manipolazione, di come noi tutti, a diversi livelli, siamo manipolati e manipolabili. E che occorre stare vigili, non semplicemente dire “vabbè, ma se uno è scemo..!” Eh, no.
Questo è qualunquismo. Risposta facile che non può liquidare la questione, almeno non da parte degli adulti.
Allora ci siamo mangiate la balena. L’abbiamo fatto in un sol boccone.
Per la precisione, l’abbiamo fatto con l’ultima studentessa che si crederebbe possa farlo: ha perso la mamma da due mesi e, ogni mattina, questa piccola donna si reca a scuola dopo aver dormito in una stanza condivisa, che pulisce e tiene in ordine come le suore le indicano di fare. È stata affidata ai servizi sociali, la mia quindicenne.
Nomino la Pink Whale, che inverte il macabro gioco in 50 giorni di micro gesti di vita, che ce ne ricordano la bellezza. Lei è entusiasta, dice di volerla cercare in internet per praticarla. Al diavolo la Blue. Un’ora dopo la fine della scuola, mi arriva un messaggio. La mia donnina ha trovato la Pink Whale su internet e me ne screenshotta una parte.
Sorrido e penso a quanto sia importante dal punto di vista educativo saper invertire i messaggi e le circostanze per reagire a questioni delicate, per reagire alla Blue Whale. Per formarci alla resilienza di cui tanto si parla. E che tanto ci serve.